Uno dei monti più alti di Ronco. Vi avevano caselle e terreni varie famiglie: i Fontana, Martino Spigaglia (una proprietà poi passata ai Bettè), i Sciavetítt, i Sciumácch, la Caterinètta, el Pasquáll Porta, una non meglio identificata Nocénta, i Maggetti, il Ghíga. La famiglia di Vincenzo Poroli, detto Ghíga, soggiornava in primavera a Parchessón; poi si spostava in questo luogo. L’acqua è del tutto assente dalla zona, per cui erano state costruite sei cisterne per la raccolta dell’acqua piovana; una famiglia ne possedeva due. L’acqua di cisterna non era ritenuta potabile, a meno che ci si mettesse nel fondo del carbone, e per l’approvvigionamento era necessario recarsi alla Purèra. In tempi di siccità si trasportava anche l’acqua per il bestiame, evitando di farlo scendere alla Purèra e risolvendo così gli inconvenienti legati alla mancanza di trósg. Il monte era protetto contro le valanghe da grossi faggi, che erano stati piantati sotto il Merísg. Più recentemente, le piante furono tagliate e vendute. Si racconta che in una casella del monte che il Giúli, Giulio Poroli figlio di Vincenzo, usava come stalla abitasse all’inizio del Novecento la Pintepé, una donna di cui non si ricorda il nome. Una notte la donna fu rapita insieme alla sua vacca da due uomini che erano scesi dalla Címa. Per farla uscire di casa i due fecero suonare il campanaccio della vacca, come avrebbe raccontato poi la figlia. Il giorno dopo era domenica, e le donne usavano darsi la voce per scendere insieme in paese per la messa; la Pintepé non si fece sentire e nessuno da quel giorno la vide più.
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